domenica 3 ottobre 2010

L'autunno dell'occidente

E' da un po' di tempo che non scrivo più sul blog. Più volte ho iniziato un pezzo, quando una notizia riaccendeva la mia vena polemica. Però ogni volta mi fermavo come sopraffatto da un senso di inutilità. La domanda che mi facevo era sempre la stessa: val la pena perdere tempo a scrivere il proprio rancore per una società gretta e meschina, se dall'altra parte c'è un pubblico muto a cui non frega niente di come stanno andando le cose?
No, non ne vale la pena.

Però scrivo lo stesso. Perché penso sia giusto così, perché è un modo personale per opporsi ad un sistema che ci sta portando lentamente al declino.

Non è facile dire cosa sta succedendo in questi anni in Italia e in generale nel mondo occidentale. Si può parlare di crisi economica, però ritengo sia riduttivo.
Piuttosto si tratta, a mio avviso, del declino sociale, razionalmente previsto da Marx, conseguente al modello di società fondata sul capitalismo.

Per carità non voglio essere tacciato di comunismo, anche perché essere contro il capitalismo non vuol dire essere comunista (come pure, per inciso, essere contro Berlusconi non vuol dire essere comunista o toga rossa, anche se lui vuole farci credere che è così!)

Probabilmente direte che sono l'ennesimo catastrofista e che in un momento così critico non bisogna lasciarsi andare al pessimismo. E' vero, però non dimentichiamo che non bisogna neppure essere così stupidamente ottimisti da chiudere gli occhi e cadere giù per il baratro con il sorriso deficiente sulle labbra. Beh i nostri politici ci spingono a fare proprio così.

Cerco dunque di fare un po' di chiarezza anche a rischio di sembrare ingenuo (a volte le cose si rendono complicate per confonderle)

Il fondamento della società capitalistica è il capitale e il profitto che ne deriva, ottenuto dalla compravendita di beni e servizi.
Tutto questo ha luogo nel "mercato", ossia un luogo virtuale nel quale si stabiliscono i prezzi di beni e servizi che vengono prodotti e consumati.

Attorno al mercato ruotano imprese e persone. Le imprese immettono beni e servizi sul mercato e le persone li comprano e li consumano. La compravendità si fa in base ad un prezzo che è determinato dalla cosiddetta legge della domanda e dell'offerta. Ossia se un bene o servizio è molto richiesto, il suo prezzo aumenterà, perché è difficile reperirlo sul mercato, e viceversa.

Che cosa sono i beni e servizi? I beni non sono altro che materie prime trasformate dal lavoro dell'uomo, i servizi attività lavorative condotte da uomini al servizio di altri uomini. Tutto quindi si riconduce al consumo di beni naturali e al lavoro dell'uomo.

Gli uomini forniscono il proprio lavoro, e in cambio ricevono un salario, con il quale possono acquistare beni e servizi per se e per la propria famiglia.

E' automatico che, con lo sviluppo del modello capitalistico, nascono delle classi sociali in funzione del ruolo di ciscun individuo. Semplificando le catalogherei in tre gruppi:
- lavoratori che ricavano la loro ricchezza dal lavoro
- imprenditori che ricavano la ricchezza dal profitto dell'azienda
- politici che come dirò più avanti hanno il compito di preservare gli equilibri sociali
In realtà le differenze non sono così marcate perché per esempio un lavoratore può investire del denaro in azioni e quindi essere anche, in qualche misura, imprenditore

Per il momento, avrete notato, non parlo della finanza perché, come vedrete più avanti, è soltanto una realtà parallela e virtuale che quasi sempre ha effetti negativi sulla società.

Il modello sociale così descritto funziona fintantoché si continua a produrre e consumare a ritmo costante o, meglio ancora, crescente.
Tutto però dipende da una serie di equilibri molto delicati tra le classi sociali e le forze che le animano, in particolare il desiderio di potere e ricchezza connaturato nello spirito umano.
Questo aspetto, a mio avviso è stato sottovalutato da Marx, nella definizione del suo modello sociale utopistico (ecco, così non posso essere tacciato di comunismo :))

Il desiderio di potere e ricchezza, che chiamerò desiderio di profitto, è il motore che spinge e anima questa società, che ha permesso l'enorme sviluppo tecnologico dell'ultimo secolo e che ha decretato il successo in tutto il mondo del modello capitalistico stesso.

Il desiderio di profitto è anche alla base della cosiddetta crescita continua, ossia di quella corsa sfrenata a produrre e consumare sempre più beni e servizi, in un'orgia comunemente chiamata consumismo.
Si perché il profitto non è altro che il guadagno che ogni impresa ottiene dalla vendita di un bene o servizio. Questo guadagno, come mi insegnavano alle elementari, è pari al ricavo (o fatturato, come dicono i ragionieri) da cui sono state tolte le spese. Insomma è la ricchezza che mette in tasca l'imprenditore (in senso lato). E' chiaro che più alta è la produzione e maggiore è il profitto. Ecco perché gli economisti ripetono fino all'ossessione che c'è bisogno di crescita. Se non c'è crescita siamo già nei guai, in "stagnazione". Se poi i consumi si riducono apriti cielo, siamo in "recessione". Oggi, per capirci, siamo in profonda recessione.

Fin qui tutto bene direte. Beh non è proprio così. Come vi ho detto il modello si regge su equilibri molto delicati: è come camminare sul crinale di un monte, basta un passo falso e si cade nel baratro.

La prima cosa che squilibra il modello, pare strano a dirsi, è il progresso tecnologico e la sempre più diffusa meccanizzazione dei lavori. Infatti sin dall'inizio, nel lontano Ottocento, l'avvento di macchine in grado di fare i lavori più pesanti, invece di migliorare la vita dell'uomo, ha ingenerato disoccupazione.
L'imprenditore approfitta delle macchine non tanto per ridurre la quantità di lavoro richiesta al lavoratore a parità di salario, quanto per licenziarlo e, così facendo, incrementare i profitti (ricordate sempre la definizione di profitto). Una macchina costa sempre meno di un essere umano
Ma, se nell'immediato, l'imprenditore si arricchisce, nel lungo periodo si va incontro allo squilibrio e alla crisi sociale. Infatti meno lavoratori ci sono e meno salario si eroga; meno salario vuol dire meno consumo; meno consumo vuol dire meno produzione e quindi le aziende stesse che chiudono e gli imprenditori che falliscono. Si parla di crisi di sovrapproduzione.
Come avrete sicuramente notato, il punto nevralgico del modello capitalistico è la natura duplice della maggioranza delle persone che sono lavoratori e consumatori.

Questo fenomeno si è già verificato nel passato. Anzi è bastato molto meno, ad esempio un improvviso rallentamento dei consumi, per innescare la spirale sopra citata. E' il caso della crisi del 1929.

Come si è usciti dalla crisi? Creando un insieme di servizi e burocrazia, cioè di lavoro, al solo scopo di erogare salari per poter spingere i consumi. Badate che ci sono voluti decenni per uscire dalla crisi e lo stato - i politici - dovette intervenire in maniera pesante. Un economista dell'epoca disse che per uscire dalla crisi bisognava che la gente scavasse buche e poi le riempisse. Più tardi venne tacciato di socialismo.

La lezione della crisi del 1929 dunque è che non si può lasciare il capitalismo privo di regole. E' necessario avere degli organi di controllo che modulino la crescita e impediscano il sorgere della prossima crisi o almeno ne mitighi gli effetti. Si perché illustri economisti sostengono che le crisi sono cicliche e avverranno sempre.
In conclusione l'assenza di regole del cosiddetto liberismo selvaggio è stato l'errore di quella crisi.

Ma, come sappiamo, la storia raramente insegna qualcosa e soprattutto il desiderio di profitto ottenebra le menti e i mass media, che sono la voce della società.

Il seguito al prossimo post
Ciao a tutti!

P.S. I ccommenti sono bene accetti